
23 Set La vergogna
Le nostre azioni sono mosse da motivazioni. Le motivazioni possono essere categorizzate e ricondotte a sistemi motivazionali, ossia a strutture mentali che indirizzano comportamenti ed emozioni per perseguire specifici obiettivi di adattamento all’ambiente, inteso in senso largo, ossia per rispondere a bisogni dell’individuo. I sistemi motivazionali sono di diversi livelli, a seconda che si debbano soddisfare necessità come fame, sete e sonno o esigenze di cura da parte di un individuo della stessa specie. Man mano che gli esseri viventi diventano più complessi, i bisogni si fanno maggiormente differenziati, fino ad arrivare all’uomo che prova spinte tali da dar vita all’arte e alla cultura, nate dalla motivazione a condividere e cooperare ad obiettivi comuni.
Tra le motivazioni che ci muovono ce ne sono due importanti per il tema che dà il titolo a questo articolo, la vergogna. E’ un’emozione di cui parliamo poco (forse perché ce ne vergogniamo), il cui mancato riconoscimento può renderci miopi nella lettura di alcune dinamiche interne o del gruppo.
Il primo dei due sistemi motivazionali di cui ci occupiamo è quello chiamato di competizione/rango. E’ uno dei sistemi interpersonali, ossia ha bisogno che ci sia almeno un’altra persona che lo eliciti, ed è finalizzato a stabilire la gerarchia all’interno di un gruppo. Nelle specie animali che vivono in branco solitamente i maschi lottano per il predominio sul gruppo e, una volta definito il vincitore, per un po’ di tempo la gerarchia resta stabile, fino a quando un maschio più giovane non decide di sfidare il capobranco invecchiato.
Negli esseri umani, con le dovute eccezioni, la lotta per la dominanza assume connotati solitamente più sfumati del combattimento in campo aperto. E’ importante però tener presente che nei gruppi questa dinamica esiste e lavora ed è facile vederla attiva in noi quando percepiamo la necessità di dover competere per l’attenzione, le cure o l’accudimento da parte di una o più persone, ossia per l’inclusione in un gruppo.
Il sistema di rango prevede che tra due contendenti solo uno esca vincitore e che costui, alla fine della competizione, proverà trionfo, orgoglio, senso di superiorità e disprezzo. Il vinto invece proverà paura del giudizio, umiliazione, tristezza per la sconfitta, invidia e vergogna.
E qui entra il secondo sistema motivazionale di cui parleremo: quello implicato nel voler creare emozioni positive verso se stessi nella mente degli altri. E’ fondamentale per l’essere umano sentirsi degni di accudimento, trovare accettazione, supporto e senso di appartenenza nel gruppo. Sperimentare queste sensazioni o, al contrario, il rifiuto e l’esclusione, modifica potentemente la percezione della rappresentazione di noi stessi nella mente degli altri.
Se percepiamo la minaccia di un rifiuto da un gruppo, cercheremo strategie per salire nella gerarchia dello stesso, in modo da accedere alla cerchia di coloro che si sentono accettati nel gruppo. Se riusciamo a farlo proveremo le emozioni proprie del successo e del senso di appartenenza, altrimenti saremo esposti alla vergogna, ossia a quella emozione che si prova quando si sente di star contravvenendo alle regole implicite di un gruppo.
Essendo la vergogna di per sé uno stato spiacevole, l’individuo cerca di venirne fuori in qualsiasi modo e spesso si trova a scegliere, seppur inconsapevolmente, tra due strade: sentirsi colpevole e tentare di sottomettersi auto-criticandosi per le proprie mancanze, o sentirsi umiliato e tentare di dominare aggressivamente l’altro per ristabilire un proprio senso di sicurezza personale.
Queste due strade nascono entrambe come strategie messe in atto per fronteggiare situazioni in cui ci si è sentiti rifiutati in un gruppo ma possono diventare stili preferenziali e generalizzati di rapporto agli altri, in base all’aspettativa che, per le esperienze passate o per una propria tendenza, non si sarà considerati all’altezza del gruppo e si verrà rifiutati. Ciò che temiamo che gli altri pensino di noi diventa allora ciò che noi stessi pensiamo di noi e di cui ci vergogniamo.
In adolescenza è particolarmente frequente essersi trovati in questa condizione e, da adulti, è possibile riconoscerla nei gruppi di ragazzi di cui siamo responsabili o con cui veniamo a contatto.
Esiste anche questa volta una terza strada, che passa attraverso il tentativo di esplicitazione delle aspettative del gruppo come da me intese, la distinzione tra queste e la realtà del gruppo, il discernimento tra le aspettative del gruppo e i miei desideri e bisogni profondi (in questo talvolta un aiuto è necessario, soprattutto con ragazzi che non sono abituati ai livelli di introspezione necessari a questo processo) e la scelta consapevole di cosa posso prendere da un gruppo e di cosa non incontra la mia adesione.
Chiariti questi punti diventa più semplice anche capire come mai non si è stati in grado di aderire alle richieste del gruppo: non mi piacevano? Non ce l’ho fatta perché troppo difficili? Non lo ho voluto fare per pigrizia? Ho preferito dedicare le mie energie ad altro? Ho avuto così tanta paura del rifiuto da essermelo procurato in modo da poter fronteggiare una situazione già nota?
Per alcune persone, soprattutto coloro che hanno spesso vissuto il rifiuto, per quanto piacevole possa sembrare la sensazione di accettazione in un gruppo, può risultare spaventoso trovarsi in una situazione nuova quale quella in cui si è inseriti e supportati. Il senso di vergogna diventa per costoro molto familiare, una sorta di compagno indesiderato ma fisso, difficile da stanare tanto più lo si cerca di nascondere. I motivi di tali timori sono nascosti in quella introspezione a cui si faceva riferimento prima e, per tirarli fuori, è necessario talvolta un lungo lavoro di ascolto.
D’altronde, siamo qui anche per questo.
Dr.ssa Daniela Magrì
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